I Vegia e il Ginè
La festa che si svolge a S. Bartolomeo il 31 gennaio è chiamata i "Vegia". Fino a qualche anno fa i ragazzini si mascheravano da "vecchie” sporcandosi la faccia e le mani con la fuliggine, costruendosi grandi gobbe e grandi seni finti e vestendosi di stracci. Dopo essersi così mascherati, giravano per il paese facendo chiasso con campanacci e scatole di latta. Inoltre bussavano di porta in porta, per raccogliere caramelle, castagne e noci. Alla sera le maschere si radunavano in un prato per dar fuoco ad un grande falò, preparato con cataste di legna, fascine e paglia: il “Ginè". Questa festa, al termine del mese di gennaio, sta ad indicare che la stagione invernale è finita e l'accensione del fuoco vuol proprio dimostrare che si brucia, cioè si dà termine al freddo ed al cattivo tempo. Anticamente, durante il pomeriggio, i ragazzi giravano per le strade cantando: <<Ginè, gineron, va föra dai canton» (Gennaio, gennaione vai fuori dagli angoli). Non seguivano le vie principali, ma continuavano a percorrere le varie stradicciole e contrade tra le case proprio per scacciare gennaio da ogni angolo di strada. L'usanza del falò, ancora oggi, si ripete la sera del 31 gennaio in tutti i paesi della Val Cavargna. A S. Bartolomeo ne vengono preparati diversi, dislocati nelle varie frazioni. I ragazzi, alcuni giorni prima, prelevano dal bosco un albero, lo infossano ad arte nel posto scelto e cominciano a fare tutti i preparativi. Nel pomeriggio del 31 gennaio sui rami smozzicati appendono copertoni d'automobili usati ed alla base ammassano fascine e paglia. Quando è buio completo si radunano intorno e viene appiccato il fuoco. Mentre le fiamme divampano e il fumo nero si diffonde, in coro si canta: "Föra ginè, denter fevre" (Fuori gennaio, dentro febbraio).
Fonte: Biblioteca Comunale di San Barolomeo Val Cavargna, “Il Quaderno”, 1993, a cura di Elsa Albonico