Geologia e mineralogia
Per comprendere in modo chiaro la natura geologica della Val Cavargna occorre fare riferimento a un’importante spaccatura che attraversa una parte del Lario occidentale. Questa discontinuità geologica, meglio nota agli esperti come faglia, è una grossa frattura della roccia lungo la quale vi è stato un reciproco sollevamento e abbassamento delle porzioni coinvolte. La Linea della Grona, nome dato dai geologi alla faglia, presentando un decorso Est-Ovest e attraversando interamente il comprensorio montano delle Alpi Lepontine, può essere considerata un’ottima guida per colore che volessero avere un’idea massimale della collocazione dei giacimenti minerari della Val Cavargna. Questa generalizzazione è possibile perché la faglia pone a contatto rocce di origine ed età diversa rappresentate a nord della stessa dal Basamento cristallino che forma le porzioni alte delle Valli Rezzo, Cavargna e Sanagra mentre a sud la Dolomia principale costituente l’ossatura del Sasso Martino, del Monte Grona, del Monte Pidaggia, dei Sassi della Porta, del Torrione e della Valsolda in generale.
Data l’enorme importanza della Linea della Grona può essere utile fornire indicazioni dettagliate della sua distribuzione: essa inizia a Nord del Monte Grona (La Forcoletta) e da qui scende in Val Sanagra in prossimità dell’Alpe di Logone. Dall’Alpe di Logone giunge a Nord della Pidaggia, passa dal Sasso di Cusino e dai Sassi della Porta e, scavalcando il Ponte Dovia, arriva in Val Rezzo in corrispondenza del Passo Colmine, per poi seguire verso la Cima di Fiorina (Bocchetta di S. Bernardo).
Le strutture litologiche del Basamento cristallino e della Dolomia principale sono molto diverse: infatti il primo, oltre ad essere antecedente cronologicamente (pre-Permiano) è originato dai micascisti dei laghi: rocce scistose, sfaldabili che per degradazione originano un detrito molto fine. La dolomia, invece, oltre ad essere formata da carbonato di calcio e magnesio, presenta una struttura compatta e, a differenza dei micascisti, difficilmente sfaldabile. Queste differenze risaltano immediatamente qualora si osservi la differente colorazione delle due tipologie rocciose: mentre la dolomia appare chiara o cinerea, i micascisti presentano gradazioni che vanno dal marrone scuro al rossiccio, tonalità impartite dall’ossidazione delle impurità ferrose. Questa variazione cromatica può essere osservata facilmente se si giunge in corrispondenza della Linea della Grona, ad esempio è sorprendente accorgersi del mutamento geologico che si verifica dove Basamento cristallino e Dolomia principale entrano in contatto. La diversificazione di queste rocce non è un fattore puramente casuale ma deve essere ricollegata alla loro genesi, infatti il Basamento cristallino è il prodotto di un evento geologico coinvolto da alte pressioni e temperature che hanno modificato la tessitura della roccia. La Dolomia principale, di origine sedimentaria, è il risultato finale di un lento processo di accumulo di sedimenti precipitati in un antichissimo bacino marino: l’ingente deposito, consolidatosi con il passare del tempo, fornisce ancora oggi tracce di organismi fossili che popolavano un ambiente di oltre 200 milioni di anni.
La distribuzione delle zone di interesse mineralogico si dipana dalle porzioni di territorio collocate immediatamente sopra la faglia ai settori più a nord, dove affiora il Basamento cristallino. Infatti la Dolomia principale e le rocce calcaree poste a sud, non presentano i minerali interessati dalle attività estrattive descritte in questa pubblicazione. Questo fenomeno spiega la collocazione delle prime miniere già a partire dalla Gaeta di Menaggio dove sono state rinvenute la cerussite, la galena e la wulfenite, specie mineralogiche formate principalmente da piombo. Un’altra testimonianza è l’antracite fossilifera dell’Alpe di Logone (Val Sanagra) che, a causa della scarsa resa calorica, era stata destinata nella fabbricazione di mattonelle. I depositi del Sanagra, considerati tra le rocce fossilifere più vecchie della Lombardia, risalgono addirittura al Carbonifero medio (310 milioni di anni) e, sebbene non abbiamo dato grossi contribuiti all’economia locale passata, rappresentano oggi importanti archivi per lo studio dei fossili lariani. Al di fuori di questi esempi isolati, la presenza diffusa delle miniere interessa maggiormente la Val Cavargna, dove vi è la concentrazione maggiore di episodi di estrazione o ritrovamenti di interesse mineralogico.
Le prime notizie storiche riguardanti le ricerche mineralogiche della Val Cavargna sono ben documentate in una tesi stilata per l’Università di Milano (Dorina Fioretti, 1942-43), dove si menziona una citazione risalente al 1794 dell’abate Amoretti, quale primo divulgatore dell’interesse minerario della valle. Successivamente compaiono altri nomi importanti come quello del Taramelli, del Curioni e del Lavizzari che descrivono le località della Val Cavargna nelle loro pubblicazioni. Questa successione di episodi storici ha dato un importante contributo alla conoscenza delle specie mineralogiche della valle infatti, grazie alle continue ricerche effettuate nel corso degli anni, sono diventate sempre più numerose le segnalazioni di ritrovamenti presso la Selva, la Valle dei Mulini, la valletta Canafurca, Val Caldera, Prà Piazzo, Mezzano e Vallera.
La cessata attività di estrazione in Val Cavargna non deve implicare un disinteresse nei confronti della ricerca puramente scientifica, infatti in questo territorio sono state scoperte due specie mineralogiche estremamente rare in Italia. A tal proposito ricordiamo la gudmundite (FeSbS), un solfoantimoniuro di ferro, ritrovato a San Nazzaro in piccoli cristalli ottaedrici molto lucenti e l’antimonio nativo presente in piccole passerelle bianco argentate di lucentezza metallica. La presenza in Italia dell’antimonio nativo è quasi nulla, infatti è presente solamente in Val Cavargna e in Sardegna.
Per ulteriori approfondimenti viene qui riportato un elenco delle specie mineralogiche segnalate nei paesi di San Bartolomeo, San Nazzaro e Cavargna: Antimonio nativo, Antimonite, Gudmundite, Kermesite, Stibiconite, Tetraedrite, Valentinite, Quarzo, Muscovite, Biotite, Granato almandino, Epidoto, Ilmenite, Clorite, Siderite, Pirite, Calcopirite, Pirrotina, Blenda, Galena, Limonite, Magnesite, Arsenopirite.
Ai fini dell’attività estrattiva riportiamo le specie mineralogiche più importanti con le località in cui esse possono essere ritrovate (elenco fornito dal signor Adamo “Damin” Mancassola):
- Blenda ZnS e Siderite FeCO3: Valle dei Mulini – San Bartolomeo V.C.
- Siderite FeCO3: Valle dei Mulini – San Bartolomeo V.C.
- Calcopirite CuFeS2 e Siderite FeCO3: Valle dei Mulini – San Bartolomeo V.C.
- Pirrotina Fe11S12: Valle dei Mulini – San Bartolomeo V.C.
- Siderite scura FeCO3: Val Caldera – San Nazzaro V.C.
- Siderite bianca FeCO3 e Calcopirite CuFeS2: Valle dei Mulini – San Bartolomeo V.C.
- Pirite FeS2: Valle dei Mulini – San Bartolomeo V.C.
- Antimonite Sb2S3: La Selva – San Nazzaro v.C.
- Arsenopirite FeAsS: Tecchio, Valle di Lana – San Nazzaro V.C.
- Galena argentifera PbS, Blenda ZnS e Calcopirite CuFeS2: Valle dei Mulini – San Bartolomeo V.C.
Si noti che i minerali sono stati riportatoi considerando le loro associazioni ritrovate in loco: ad esempio in Valle dei Mulini la Blenda si trova con la Siderite, la Calcopirite con la Siderite, la Calcopirite con la Siderite bianca, la Galena argentifera con la Blenda e la Calcopirite.
Per approfondire questo argomento vi suggeriamo il libro:
“Il travaglio del ferro in Val Cavargna e dintorni” – Miniere, forni, fucine, boschi e carbonaie. Materiali per una storia delle antiche attività minerarie e siderurgiche nel Settecento e Ottocento, a cura di Giorgio Grandi.