Abito tradizionale
Parallelamente alla crescita del “Museo della Valle”, a cura dell’Associazione “Amici di Cavargna”, in buona parte della popolazione della valle si andava sviluppando il desiderio di conoscere maggiormente e di valorizzare le proprie origini
In questo percorso si colloca la riscoperta dei costumi, non uno solo, ma diversi, proprio perchè in ogni paese ogni generazione aggiungeva o toglieva ciò che in quel momento sembrava più necessario, ma soprattutto perchè non esisteva la consapevolezza di avere un costume.
Spesso nei loro spostamenti, nelle loro emigrazioni le precedenti generazioni copiavano qualche particolare di altri costumi, aggiungendolo al loro e modificandolo secondo gusti personali.
La scomparsa negli anni ’50 dell’usanza delle donne di sposarsi col “vestito scuro” e col “foulard dalle frange”, per lasciare il posto a tailleurs più moderni, ha fatto considerare tutti i “vestiti della festa”, degli anni precedenti il 1950 (all’incirca), come “costumi popolari”.
L’evoluzione del costume, era stata più evidente nel tipo femminile, inalterata o poco evidente in quello maschile.
Era opportuno organizzare la visibilità di tutti questi costumi che, appartenendo a privati cittadini, non potevano essere ammirati e valorizzati.
Non ci si limitò alla ricostruzione dell’abito nuziale e della festa, ma si avviò la ricerca e la valorizzazione di tutto ciò che poteva essere l’abbigliamento tipico di ogni mestiere esercitato in passato.
Si riscoprirono così l’abito del pastore, del casaro, del contadino, del minatore, del contrabbandiere, riuscendo anche a rappresentare alcuni aspetti della vita quotidiana come: la raccolta delle foglie secche, per farne giacigli per le persone e per gli animali, la concimazione dei prati, la preparazione delle castagne, l’alpeggio e la monticazione del bestiame, la preparazione dei covoni di paglia per la copertura dei tetti e si giunse così, nel 1997, alla costituzione del “Gruppo Folcloristico Val Cavargna” che avviò la propria attività associativa sfilando a Lugano in occasione delle manifestazioni per il 60° anniversario dell’Associazione del Costume Ticinese, rappresentando la Val Cavargna in tutti i suoi molteplici aspetti, nel rispetto delle sue tradizioni per riscoprire e valorizzare le sue origini, le sue “radici”.
Da allora ha sfilato, diverse volte l’anno, in manifestazioni sia locali, che in trasferta. Il Gruppo è costituito dai seguenti figuranti con i propri costumi: boscaioli, seghezzine, contrabbandieri, finanzieri, alpigiani, impagliatori di tetti, falegnami, fabbri di miniera, filatrici, cadregatt, magnani, contadini con i loro attrezzi, sposi in abito della festa ecc.
Il costume femminile tradizionale
Il recupero del costume femminile tradizionale della Val Cavargna, non è stato difficile, infatti, fino a quasi dieci anni fa era possibile vedere in valle, qualche vecchietta che ancora lo indossava. Qualche cambiamento il costume femminile a San Bartolomeo V. C. lo aveva avuto tra l’800 e il ‘900. Ecco com’ era il vestito verso la fine dell’800: era composto da arricciata in vita, di colore scuro che non si discostava dal nero, dal grigio blu.
Per andare in chiesa veniva completato con una giacchetta detta “corsetto”, abbottonata davanti con manica lunga, spalle imbottite. Con l’inizio del 1900, la gonna viene attaccata al corsetto e diventa un abito. Cambia l’arricciatura e si trasforma in plissé, lasciando liscia la parte davanti, perchè coperta dal grembiule, che è di cotone, arricciato, con colori scuri, una fettuccia in vita per legarlo sul davanti, senza tasche.
Sulle spalle si portava un piccolo scialle di cotone nero lavorato all’uncinetto, con motivo finale di colore contrastante (rosso, rosa, viola, azzurro) con alte frange di cotone nero, era detto “panett dal col”. D’inverno poteva essere anche di lana, incrociato sul petto e fermato in vita dalla cintola del grembiule.
Dopo il 1910 la confezione del vestito diventa più accurata. Normalmente si avevano due vestiti: uno per la festa e uno per tutti i giorni, spesso quello per tutti i giorni è senza maniche, come nel 1800, i colori sempre scuri, grigi, azzurri cupi, marroni. Per la festa i tessuti sono più pregiati e il colore il nero. Il vestito della festa è quello del matrimonio, spesso riadattato alle nuove misure.
In testa il foulard. La ragazza che si preparava a sposarsi, acquistava un grandissimo foulard, di lana, tessuto fine, con motivi stampati o floreali, o rappresentanti della frutta, che lo ornavano tutt’intorno. Essendo molto grande veniva portato non legato, appoggiato sulla testa, che scendeva sulle spalle e copriva parte del busto.
Lo si teneva per tutta la durata della messa del matrimonio e finita la messa lo si piegava e lo si appoggiava sul braccio destro. I più fortunati potevano recarsi a Menaggio, per scattare una foto ricordo, passeggiare sul lungolago e mangiare qualcosa all’osteria, prima di tornare a casa. Il foulard veniva allora messo via e dopo qualche anno, dopo che erano nati i figli, la madre lo divideva in quattro parti, così da ricavarne quattro distinti foulard. Ogni pezzo veniva lasciato ad ogni figlia femmina, in caso di soli maschi, alle nipoti, alle maggiori.
Per i lavori nei prati e nei campi venivano usati altri foulard, più piccoli, anche di cotone, con colori più chiari. Di giorno il foulard era legato dietro la nuca, per andare in chiesa, sotto il mento.
Si portavano calze di lana, lunghe fin sopra il ginocchio, di colore nero, perchè la lana delle pecore bianche, più richiesta dal mercato, veniva venduta. La soletta era invece di lana bianca, attaccata alla calza in modo da poter permettere un facile ricambio.
Come calzature si usavano zoccoli di legno. Ne esistevano di due tipi: quelli per l’inverno, che sotto erano costellati di punte in ferro per il ghiaccio, e quelli estivi. Entrambi formati dal corpo in legno, di tiglio, o di acero, con due alette in cuoio legate con una fettuccia nera.
Un particolare tipo di calzatura era di stoffa, ricavata da vecchi pantaloni o giacche,con la suola rivestita di gomma, era tutta cucita a mano, la suola rinforzata da vari strati di tessuto, la chiusura con una fettuccia.